Scrittrice e giornalista americana, Barbara Demick lavora per il Los Angeles Times e collabora con il New Yorker. Con i suoi reportage dalla guerra in Bosnia ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Con il saggio Per mano nel buio (Nothing to Envy: Ordinary Lives in North Korea, 2009) che narra i drammi della dittatura attraverso le vicende di alcuni nordcoreani rifugiati in Corea del Sud, è stato premiato con il BBC Samuel Johnson Prize for Non-Fiction. Il libro I mangiatori di Buddha (Eat the Buddha: Life and Death in a Tibetan Town, 2020), finalista al Baillie Gifford Prize e all’Orwell Prize for Political Writing, è stato tradotto da Katia Bagnoli per Iperborea nel 2024.
I mangiatori di Buddha. Vita e ribellione in una città del Tibet
Ngaba, città stretta tra due monasteri, è la prima frontiera dell’altopiano tibetano per chi arriva da nord. Qui gli invasori cinesi si sono scontrati con la resistenza locale sin dagli anni Trenta, quando l’Armata Rossa di Mao entrò in città e, in preda alla fame, dissacrò i templi per mangiare le statuette votive di Buddha, fatte di farina e burro. Oggi Ngaba è inaccessibile agli occidentali, ma Barbara Demick, sfidando la burocrazia di Pechino e a costo di gravi rischi personali, è riuscita a visitarla e ha raccolto i fili di una storia, quella del Tibet moderno, fatta di repressione e ribellione, fughe e compromessi. Tra le mille voci di questo popolo umiliato e offeso c’è Gonpo, la principessa deposta bambina; Delek, nomade brutalizzato dagli invasori che diventa una Guardia Rossa; Tsegyam, il poeta che insegnava il tibetano e i testi proibiti nelle scuole per tramandare la raffinatezza di una cultura che la Cina cerca di cancellare; e poi studenti radicalizzati nei monasteri, ex monaci che si reinventano imprenditori, giovani scissi tra l’identità tibetana e l’abiura in nome del benessere economico cinese. E c’è chi non ha mai smesso di combattere ma, per non rinunciare ai principi buddhisti e al pacifismo del Dalai Lama, lo ha fatto rivolgendo la violenza delle proteste contro un solo bersaglio: il proprio corpo. Così a Ngaba a decine si sono avvolti nel filo spinato, hanno bevuto la benzina e si sono dati fuoco. Polifonico come un romanzo corale e rigoroso come un’inchiesta, I mangiatori di Buddha racconta di oppressione, resistenza e di una colonizzazione ancora in atto, illuminando un angolo di mondo che un regime potentissimo vuole tenere nell’ombra.